Il consulente sa di non sapere

Sono sempre stata dell’opinione che un educatore cinofilo, un istruttore, un medico veterinario comportamentalista, un consulente come me, al di là dell’offrire servizi di aiuto abbia anche il dovere di essere un mediatore culturale per avvicinare il pubblico a quelle che sono le esigenze taciute degli animali e sensibilizzarlo ad una convivenza più responsabile e consapevole.

Essere un mediatore culturale, però, presuppone una serie di ENORMI RESPONSABILITA’ perché non si tratta solo di aprire un profilo e divulgare quattro nozioni in croce per il piacere narcisistico di mostrare le proprie conoscenze (che, a mio avviso, sono la parte irrisoria di questo lavoro).
Mediare culturalmente richiede di incarnare, fare proprio, il dubbio socratico, come una postura costante, come un vestito, integrare con serenità la consapevolezza perenne di avere solo una visione, e per giunta parziale, di un iceberg che resterà per sempre inaccessibile nella sua interezza; coltivare i “forse”, i “chissà”, i “non so”; significa avere contezza e consapevolezza delle proprie personali credenze e di come esse influenzano le proprie prospettive, il proprio funzionamento cognitivo; significa saper distinguere le stesse dagli aspetti oggettivi della conoscenza e saper dichiarare quando un concetto è un prodotto della propria storia e quando trova riscontri ufficiali. Significa saper stare in equilibrio su un filo teso tra i propri valori personali e il mettersi al servizio dell’altro per offrire concreto aiuto; significa mettere in discussione, costantemente, il senso comune, significa avere sete di approfondimento, di domande più che di risposte, aver voglia di capire i fenomeni nelle loro pieghe più sottili, senza accontentarsi delle risposte più facili, più diffuse, più popolari.
Significa non smettere mai di incuriosirsi, soprattutto davanti le posizioni più dogmatiche, proprie o di altri. Quelle, anzi, sono le prime che dovrebbero essere prese a picconate. Ed è proprio quando si sente resistenza nel farlo, proprio lì, che si capisce che c’è da scavare dentro di sé.

Altro che prescrizioni.