L’isolamento sociale del gatto

Che comodi i gatti!
Non devi portarli fuori per il giro cacca-pipì, i bisogni li fanno in una comoda e tutto sommato poco ingombrante cassetta di cui basta occuparsi 1 o 2 volte al giorno; sono autonomi nel mangiare perché puoi lasciare le crocchette a disposizione h24 e loro si autoregolano; sono curiosi, divertenti e giocano da soli - a volte pure con cose che non vorresti toccassero! -; non hanno bisogno di bagnetti e altro genere di impegnative toelettature (a meno di non andarsela a cercare scegliendo specifiche razze); le cat-sitter costano relativamente poco e si trovano facilmente; e quando torni a casa è probabile che ti vengano incontro strusciandosi, che non disdegnino di guardare con te la tv acciambellati addosso e che ti riempiano di coccole e fusa con la morbidezza di una carezza.
Insomma, sembrerebbero proprio i compagni ideali per chi è poco a casa, ha poco tempo per occuparsi di un pet ma non vorrebbe rinunciare alla sua compagnia.

E invece no. Come cantava Carboni negli anni ‘90, “ci stiamo sbagliando ragazzi”.

Sopravvive ancora oggi un mito che forse poteva valere trent’anni fa, quando avevamo tutt’altri stili e contesti di vita, ovvero quello del gatto come “animale da compagnia poco impegnativo”. Meno impegnativo del cane, aggiunge sempre qualcuno.

Oggi le cose sono molto cambiate, almeno in certi luoghi. La maggior parte delle persone vive in città o in aree fortemente urbanizzate, lavora fuori casa tutto il giorno, vive in appartamenti anche molto piccoli e adotta gatti ai quali probabilmente non fornirà mai un accesso all’esterno (indoor). Questo significa che tutta l’esistenza del gatto, gli apprendimenti, le esplorazioni, le emozioni, le esperienze positive e negative, le interazioni sociali, le occasioni di scambio con l’ambiente, tutto il vissuto cognitivo ed emotivo nasceranno, si svilupperanno e si concluderanno all’interno delle pareti domestiche. Va da sé che gli umani, con la loro presenza, il loro sistema di cura e le loro scelte sull’ambiente fisico e sociale, assumono un ruolo fondamentale nel caratterizzare la qualità della vita del gatto.

Il gatto indoor, infatti, è dipendente al 100% da chi lo ha adottato. 100% significa che oltre ad occuparsi della sua salute fisica e del suo approvvigionamento quotidiano, bisogna anche farsi carico di fornirgli tutti gli stimoli necessari per compensare l’assenza di esperienze outdoor, ovvero affinché anche la sua vita mentale (cognizione, emozioni, desideri, passioni) continui ad esprimersi ma, soprattutto, ad evolvere.

Perché ognuno di noi è un essere in evoluzione, sempre.

Personalmente vivo con un po’ di idiosincrasia il fatto che, troppo spesso, il tema della qualità della vita in ambiente casalingo si trascini sempre la solita risposta standard: basta fare arricchimento ambientale. Con questa espressione, mutuata dal mondo degli zoo, si intendono tutta una serie di modifiche ambientali agli spazi e di attività ludiche da proporre al gatto, con l’obiettivo di fargli "esercitare il suo repertorio comportamentale" (sì, insomma, come se vi foste comprati una Ferrari da far ruggire ogni tanto). Dal mio punto di vista, però, ridurre il tema del benessere al solo arricchimento ambientale è estremamente sminuente e rischia di non cogliere la complessità della vita mentale del gatto. A mio parere, l’arricchimento ambientale - con i suoi percorsi a misura di gatto, i tiragraffi fino al soffitto, le cannette con le piume, i puzzle feeders e le amache vicino alle finestre - è solo l’ABC della convivenza con il gatto, la base da cui partire per costruire una relazione. Questo significa che chiunque adotti un gatto dovrebbe entrare nell’ottica di implementare queste misure come conseguenza obbligata della sua scelta, sia che il gatto viva indoor, sia che abbia la possibilità di godere di un accesso all’esterno. Perché vivere con un gatto significa (o dovrebbe significare) farsi contaminare dal suo modo di vivere l’ambiente e dalle sue necessità strutturali e ludiche, anche se fuori avesse il paradiso dei gatti che lo aspetta. E' un nostro dovere, non un diritto.

Quello che, a mio avviso, viene sottolineato sempre troppo poco quando si parla di arricchimento ambientale è che non si tratta solo di allestire casa e comprare qualche gioco in più da lasciare a disposizione in nostra assenza per combattere la noia. Un arricchimento ambientale davvero di qualità attiene non solo alla varietà ma anche alla frequenza con cui vengono offerti e rinnovati gli stimoli durante il giorno e alla profondità delle interazioni sociali con il micio. Anche lo spazio meglio predisposto si impoverisce in breve se nulla accade per molte ore al giorno o se quello che può accadere è ripetitivo e poco sfidante. Anche un puzzle feeder, visto e rivisto, può diventare routine. Se i gatti non hanno modo di frequentare ambienti esterni con il loro carico di imprevisti e, perché no, di rischi, hanno bisogno che qualcuno “muova il mondo” per loro durante la giornata. Che lo renda vivace, che lo renda attivo, che lo renda meritevole di essere esplorato, interessante da conoscere e da vivere, una valida alternativa al divano. Altrimenti saranno la frustrazione o la noia a farla da padrone.

Riguardo le interazioni sociali, invece, avete mai notato che, sovente, il gatto sembra dormire quando non c’è nessuno in casa per poi svegliarsi, muoversi (e andare in bagno…) proprio nel momento in cui rientrate? Non è che lo avete semplicemente svegliato e non è nemmeno che abbia bisogno di compagnia per cui basterebbe adottare in coppia. E’ molto più di questo e ha a che fare con il nostro ruolo da conviventi-umani: il nostro rientro a casa è preludio di movimento, di curiosità, di odori nuovi da studiare, di palline lanciate e cannette sventolate, di rumore della tv e chiacchiere socchiudendo gli occhi, di bevuta dal rubinetto, di “impastatine” sulla pancia, di ospiti da annusare e, magari, di capatina in balcone o in terrazzo. Di avventure sociali e di emozioni che si muovono per animare una mente vulcanica e sensibile ad ogni dettaglio.

Oltre all'adeguatezza dell'ambiente fisico, è la nostra presenza, soprattutto se partecipata e attenta alla qualità delle interazioni con lui, che fa la differenza perché è quella - e solo quella - che dinamizza l’immobilità casalinga.

Ma se, al contrario, riusciamo a offrire solo 1-2 ore di presenza la sera, magari davanti una tv distraente e con in mezzo una cena fugace di cui occuparci e la voglia di sprofondare sul divano, è alto il rischio di non riuscire a coniugare le nostre esigenze con i bisogni di frequenza, quantità e qualità di stimoli, di partecipazione, di esplorazione e di conoscenza della mente affamata di un gatto, soprattutto se parliamo di soggetti giovani e/o particolarmente vivaci. Il gatto ci apparirà immotivatamente “agitato” mentre ci sta dicendo che si sente isolato dal mondo e dalle vita stessa e che quello è l’unico momento della giornata in cui, finalmente, riesce a sentirsi vivo, partecipe della sua esistenza. O, al contrario, lo vedremo cronicamente apatico e disinteressato, come se avesse smesso di aspettarsi qualcosa di interessante da noi e dalla sua vita.

Ecco perché non possiamo più permetterci di pensare che, se manchiamo molte ore consecutive al giorno - perché lavoriamo tantissimo o perché abbiamo una vita sociale frenetica fuori dalle pareti domestiche - oppure se non abbiamo voglia di impegnarci quotidianamente per implementare giochi e attività stimolanti (non meno di quanto faremmo per portare fuori un cane…), un gatto sia la scelta più adatta per noi. Dobbiamo iniziare a chiederci se siamo noi ad essere adatti ad un gatto. Magari no e non ci sarebbe nulla di male.

Vivere con un gatto, oggi, soprattutto se dipende al 100% da noi in quanto indoor, rappresenta un’assunzione enorme di responsabilità perché siamo noi l’unico canale che ha per accedere al soddisfacimento dei suoi bisogni mentali e fisici.

Diventa stringente interrogarci sul nostro stile di vita e sulla compatibilità tra questo e l’impegno che una tale responsabilità comporta, non solo in termini di allestimento degli spazi ma anche di presenza e di iniziativa da parte nostra. A seconda delle nostre scelte, non è detto che si possa contare sulla famigerata indipendenza dei gatti (indipendenti possono esserlo solo se viene loro concesso di emanciparsi da noi), che possano avere una vita appagante a prescindere da noi e non subìre le nostre mancanze: li abbiamo legati a noi, resi dipendenti e non perché siano cambiati i bisogni dei gatti (che, anzi, sono immutati rispetto a quando eravamo una società rurale) ma perché, ahimé, siamo cambiati enormemente noi e di questo dobbiamo farci carico, se vogliamo averli con noi.